Voglio essere vista. Non solo:  voglio contare, voglio essere considerata!

Direi che questo problema è vissuto maggiormente dalle donne e perciò citerò esempi femminili che mi sono stati sottoposti.

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  • “In famiglia sono sempre l’ultima ad essere informata”

Chiedetevi, innanzitutto, se provate un vero bisogno di comunicare con i vostri amici/cari o se non siete voi a cercare la vostra indipendenza e ad aver preso le distanze. Se vi sentite rigettate, messe in disparte, se soffrite di questa situazione, cerchiamo di visualizzarla in modo simbolico. Immaginate una sciarpa che rappresenta la relazione tra due persone. Ognuno la tiene da una parte, ossia ognuno assume la corresponsabilità dei segnali che vengono emessi e ricevuti. Sentirsi lesi significa che non si riconosce a sufficienza il proprio ruolo nell’interazione, impedendo di conseguenza di assumerlo pienamente.

Capovolgiamo questo processo:

Prendete coscienza del fatto di essere pienamente responsabile del modo nel quale vi arriva il messaggio. Tocca a voi dargli un significato ben preciso. Se non potete costringere l’altro a comunicare di più, potete almeno intervenire su quello che dipende esclusivamente da voi, la disponibilità e l’entusiasmo nell’accogliere chi si rivolge a voi, dando enfasi al poco che vi viene concesso. Sarete voi a renderlo grande e poco a poco diventerete grandi voi stessi.

  • In riunione sono sempre interrotta e non ho il giusto diritto alla parola

Porsi come una vittima è controproducente. Meglio chiedervi come gli altri vi percepiscono, che immagine hanno di voi. Più vi agitate, più vi stressate, più cercate riconoscimento meno lo ottenerete. A pensare troppo al come presentarvi, rischiate di balbettare, di inciampare, di esitare, di chiedere scusa o di rimanere fredde. Comunque, il timore paralizza mentre la spontaneità paga anche se vi dovesse capitare un piccolo errore. A volte solo voi ne siete a conoscenza, mentre chi vi ascolta non l’ha colto. Il parlare in pubblico è un po’ come guidare una macchina: non si deve guardare il cofano, non si devono prendere tutte le misure. La macchina diventa parte di noi, un vestito che abbiamo addosso e il nostro sguardo deve spaziare, perché tutto diventa riflesso, automatico. Succede lo stesso quando parlate con altri. La vostra sicurezza impedirà che prendano loro la parola  per la noia o per farvi “partorire” un concetto che esprimete troppo lentamente.

Capovolgiamo questo processo:

Prima di parlare, assicuratevi di essere in grado di controllare bene il fiato e la vostra respirazione (con la pancia) con un’ottima seduta (se è il caso di una riunione) in fondo alla sedia. Prendete la parola con una voce sostenuta, sicura: pensate che  il vostro discorso entra nelle orecchie di chi vi ascolta e tocca a voi guidare la vostra voce. Parlate con calma, in modo posato: vi sentirete più sicure. Questa sensazione può essere messa in pratica come esercizio in tantissime occasioni, ad esempio al ristorante con gli amici; pensate a dove posate lo sguardo e dove piazzate la voce. Vi tornerà più facile durante la prossima riunione. Per quanto riguarda il contenuto della riunione, ricordatevi di non perdervi nei dettagli: andate all’essenziale. Che cosa è suscettibile di interessare i vostri interlocutori, che informazione è utile, di che cosa hanno bisogno? Cominciate in questo modo e non esitate a personalizzare il vostro discorso invece di rimanere troppo neutra per sembrare più professionale. Esprimete quello che sentite, che provate: “Non mi sento a mio agio con questa situazione”, “Avrei una proposta da fare”, “Ho piacere di sentire quello che ne pensate”…

Come vedete, non c’è niente di statico, di definitivo, abbiamo tutti il potere di modificare quello che sembra un dato di fatto e che, invece, 6non lo è .